sabato 24 novembre 2012

Sarde imbottite a modo mio

Ogni tanto ripenso alla bella Sicilia e quando lo faccio mi nasce un insano desiderio di viaggio. Come quello di due anni fa insieme a mio padre, soli soletti per quattro giorni di cui due trascorsi in tansito lungo mezza Italia.
Partiti da Roma in macchina nel primo pomeriggio con destinazione Napoli, siamo arrivati al porto qualche ora prima del tramonto. Ero emozionata perché per la prima volta salivo su un traghetto. Un po' sgangherato in verità e con quell'odore di nafta che accompagnava ogni rollio della barca, impedendo all'orizzonte di stare fermo.
E poi partire di sera, con una Napoli luccicante riflessa nel porto e vedere la costa allontanarsi immobile; sentirsi in uno strano movimento interiore, fatto di distacco e attesa ma anche di grato raccoglimento.

...Lasciare la terra via mare è una sensazione d'altri tempi. 

Catania è una città bellissima in cui si ha l'impressione che da ogni angolo di strada sia possibile scorgere la cima dell'Etna. La montagna è sempre lì, simbolo vivo della città, orlata di bianco anche in primavera. Nonostante il travaglio che in quel periodo mi portavo dentro, mi sono sentita accolta ed ospitata. In verità quel viaggio ha marcato da allora un prima e un dopo, come spesso succede con i viaggi e con tutte le distanze che prevedono un ritorno. Il dopo è ancora in transito, traghettato su un mare molto più vasto da cui però vedo sempre - in lontananza - scintillare la città.

Se dovessi chiudere gli occhi e ripensare a questo viaggio con il senso del palato, direi che ha il sapore forte e dolciastro della sarda, così vicino a una certa cucina d'Oriente che nella Sicilia di oggi è ancora fortemente riconoscibile. 

La sarda a beccafico è una ricetta tipicamente siciliana e viene preparata in almeno due varianti, la palermitana e la catanese. Vogliano perdonarmi i siciliani tutti se oggi propongo la mia personale versione di un piatto che non ha bisogno di rivisitazioni di alcun genere. 
Ho scoperto, nel mio solito curiosare, che il piatto prende il nome da una prelibata pietanza di un'epoca passata il cui ingrediente principale era appunto il beccafico, ovvero un uccelletto particolarmente noto per essere ghiotto del frutto zuccherino. Si trattava ovviamente di una pietanza aristocratica e pare venisse servita a tavola con la coda all'insù, in modo che i commensali potessero afferrare il beccafico dalla sua estremità e sbocconcellarlo come oggi potremmo fare con una coscia di quaglia. Non so se in seguito la sarda sostituì il beccafico nella sua versione popolare o se semplicemente la posa di questo pesce azzurro ricorda quella dell'uccelletto sul piatto di portata, fatto sta che prese il suo nome e oggi è da tutti conosciuta e apprezzata così.
La mia sarda imbottita è un incrocio tra le due note versioni. La catanese si distingue per l'imbottitura preparata con l'uovo e l'immancabile frittura, mentre la palermitana è preparata con una sola sarda chiusa a involtino e cotta in forno con foglie di alloro. Immancabile in entrambe l'uvetta che a parer mio rende questo piatto veramente caratteristico.
  


Ingredienti:

500 gr di sarde fresche
uvetta
basilico
aglio
semi di coriandolo
pecorino
sale
olio
1/2 limone



Come sempre non è possibile fare affidamento sulle mie quantità, perché vado spesso a occhio, ovvero a "manciate". Piccola e doverosa premessa: l'erba aromatica universalmente usata per questa ricetta è il prezzemolo. Non avendolo a disposizione fresco, ho ripiegato sul basilico (sappiate che una volta cotto, sia il prezzemolo che il basilico non fanno la differenza...). Inoltre non ho tritato l'aglio ma l'ho aggiunto a spicchi nella teglia in modo da non masticarlo. Infine ho sostituito il pepe con i semi di coriandolo, che lo ricordano alla lontana ma hanno un sapore più speziato.
Avevo anticipato che sarebbe stato a modo mio, no?

La preparazione di questo piatto richiede tanta sana pazienza e magari qualcuno con cui fare quattro chiacchiere durante la pulizia del pesce. Soprattutto se come me non avete nessuna predisposizione ai lavori manuali, compresa la spinatura. Non vi darò suggerimenti su come pulire le sarde, io ho cercato di seguire corsi accelerati su Youtube, ma ho finito per adottare un sistema diverso ad ogni tentativo. Evviva la creatività, detta anche arte di arrangiarsi. Comunque, dopo aver spinato e sciacquato il pesce avendo cura di aprirlo a libro senza dividere le due metà, il piatto è praticamente pronto. Ho preparato infatti in pochissimi minuti la mia imbottitura con il pangrattato, l'uvetta (vi consiglio anche i pinoli), pecorino grattugiato, basilico tritato, sale e olio a filo. Ho mescolato fino a quando il composto non è diventato mollicoso per la presenza di olio - ma senza esagerare, non deve essere intriso. A questo punto preparare la teglia (io con carta da forno, per non rinunciare alla praticità) ponendo in fila le sarde con l'interno verso l'alto. Riempirle con il preparato - un mucchietto su ciascuna - e adagiarvi sopra le altre sarde a coprire. Pestare i semi di coriandolo e cospargerli sulle sarde imbottite insieme a dell'altro preparato. Salare leggermente e irrorare con un po' d'olio e succo di mezzo limone. Cospargere con spicchi di aglio sbucciati. Infornare e cuocere a forno caldo per circa 20-25 minuti.

Alcuni ricordi di viaggio...

L'Etna all'alba dal traghetto

Isola Bella (Taormina)

u Liotru - L'elefante simbolo antico della città

La Facoltà di Lettere e Filosofia

giovedì 15 novembre 2012

Apple pie per il mio compleanno

Inghilterra, fine 1300. Sebbene gli Americani abbiano fatto di questa torta il simbolo culinario della Nazione (seconda forse soltanto agli hot dog), la Apple pie è in realtà inglese tanto quanto il celebre pudding. La ricetta originale dei tempi di Chaucer è simile alla versione che conosciamo oggi ma l'impasto veniva realizzato senza l'aggiunta di zucchero. Non solo perché a quei tempi lo zucchero era un prodotto proveniente dall'Oriente e quindi non ancora di larga diffusione a causa del costo elevato, ma anche perché a dolcificare ci pensava il ricco ripieno di fichi, uvetta, mele e l'immancabile aggiunta di spezie. Lo zafferano dava un tocco finale al ripieno. Niente male per una torta del Medioevo...

Ci sono oggi diverse versioni del dolce: una tedesca, molto simile a quella maggiormente diffusa; una svedese, il cui impasto è composto dalle mele invece che dalla farina e una francese, nella variante della Tarte Tatin. 
La Apple pie approda in America insieme alle colonie e lì si stabilisce definitivamente. Sebbene il termine pie faccia venire in mente qualcosa di dolce, i primi coloni usavano preparare torte salate farcite di carne e ancora oggi in Inghilterra il termine è solo di accompagnamento al ripieno: dalla onion pie alla meat pie c'è tutto un mondo di farciture contenuto in uno scrigno di pasta delicata.

La ricetta per la sezione Ricette dal Mondo non poteva che essere oggi un altro dolce. Ieri ho infatti festeggiato il mio trentunesimo compleanno, anche se in verità il pranzo ufficioso ha avuto luogo una settimana fa, mentre quello ufficiale è in programma per questa domenica - e cucina mamma! Intanto mi sono voluta regalare un dolce intonato alla stagione e all'umore, delicato e speziato come piace a me. Il giusto accompagnamento sarebbe stato a la Mode, ovvero con del gelato (anche se si usa accompagnarlo non di rado con una bella fetta di cheddar!) o in alternativa con della panna. Io l'ho proposto nudo e crudo come il forno l'ha fatto e me lo sono gustato nei due giorni successivi con un una bella tisana alla cannella. Nulla da invidiare al formaggio, secondo me.

Ingredienti:

per l'impasto

300 gr di farina
150 gr di burro
60 ml di acqua ghiacciata

per il ripieno

100 gr di zucchero
3 mele grandi
1/2 cucchiaino di cannella
1/2 limone (scorza e succo)
noce moscata
uvetta
latte per spennellare


Ho preferito in verità non caricare troppo con il ripieno, invece vi consiglio di usare almeno 4-5 mele se la volete bella erta. C'è anche da dire che io ho utilizzato una tortiera leggermente più piccola di quella classica che uso in genere per la crostata e quindi mi sono tenuta "bassa". Invece avrei potuto tranquillamente osare di più...

Preparare l'impasto mescolando in un recipiente la farina e il burro spezzettato. Aggiungere l'acqua ghiacciata in due volte e continuare a mescolare fino a ottenere un composto liscio ed elastico. Riporre in frigo per una mezzora. Intanto sbucciare e tagliare le mele a fettine non troppo sottili, unire la scorza e il succo di mezzo limone (uno se è di piccole dimensioni), una grattugiata di noce moscata, lo zucchero, una manciata di uvetta e mezzo cucchiaino di cannella. A seconda del vostro palato potete anche aumentare le dosi della spezia, io preferisco non sovraccaricare dal momento che è abbastanza forte e tende a coprire gli altri sapori. Invece mi piace molto sentire la mela esaltata dalla cannella. Lo zucchero e il succo di limone creano poi a fine cottura una sorta di cremina liquida che fuoriesce alla prima fetta e rende questo dolce semplicissimo di una bontà assoluta. 

Dividere l'impasto in due parti e stenderlo con il mattarello. Coprire la teglia con della carta da forno, posizionare la prima sfoglia, farcirla con il composto di mele e chiudere con il coperchio. Spennellare con del latte o se preferite con dell'uovo.
Con l'avanzo del bordo creare a piacimento delle decorazioni - magari migliori delle mie che a manipolazione impasti sono penultima soltanto al pongo - e infornare a forno caldo a 180° i primi dieci minuti e a 160° i restanti venti. Questo sempre a seconda del vostro forno, io con il mio mi tengo a temperature medie per la cottura dei dolci perché mi brucia tutto in un lampo. 

Sfornare e mangiare possibilmete tiepida, è ancora più buona!

giovedì 8 novembre 2012

Rösti di patate e porri al curry

Il Rösti è una ricetta della cucina Svizzera ma la si ritrova "ovviamente" in diversi luoghi montani. Patate che sfrigolano nel burro fanno venire in mente senza dubbio luoghi freddi e alpini e magari anche un caminetto acceso e tanto altro cibo calorico a fare da accompagnamento. La mia stagione è decisamente l'inverno, non c'è niente da fare. O forse amo molto i cambi di stagione, che essendo una rarità di questi tempi di allarmante riscaldamento globale, cerco di godermi fino all'ultimo giorno. 

Complice anche la mia rinnovata fiducia nel futuro - come un lavoro può cambiare la prospettiva delle cose - in questo periodo sto riempiendo le mie giornate di tante piccole cose: un'amicizia ritrovata, la voglia di tornare a studiare, un corso d'inglese, tante tante ricette, libri impilati sul comodino, una bicicletta rossa tornata come nuova...e, chissà, un corso di cucina che ogni anno rimando pensando di non essere "pronta" e la convinzione - alla fine di tutto - che non si è mai pronti per  nulla ma che soprattutto non c'è bisogno di esserlo.

Ho servito il mio rösti come antipasto anche se tradizionalmente è un contorno da servire accompagnato da carne o verdura. La mia versione è presa da un libro di ricette vegetariane ed ha una nota speziata data dal curry.

Ingredienti:

600 gr di patate
1 porro
2 cucchiai di curry
burro
sale
olio

Lessare le patate al punto che infilzandole con una forchetta risultino tenere ma ancora consistenti. Sbucciarle e grattugiarle (io le ho schiacciate ma voi non fatelo, il vero rosti vuole le patate grattugiate!) raccogliendo il composto in una terrina. Aggiungere il porro tagliato sottilmente a rondelle (e privato della parte verde), salare e aggiungere il curry. Amalgamare bene e intanto sciogliere un quadretto di burro in padella, distribuirvi uniformemente il composto di patate lavorato e schiacciarlo bene con una paletta di legno. Quando inizierà a formarsi una crosticina, girate il composto dall'altro lato e fate cuocere altri dieci minuti. Sformare su un piatto da portate e servire anche dopo qualche ora: a temperatura ambiente è ancora più buono.


lunedì 5 novembre 2012

Halva al cocco

Per la sezione Ricette dal mondo, propongo oggi un dolce molto diffuso in diversi paesi ma che pare sia originario dei paesi arabi. Nella lingua araba halva vuol dire proprio dolce e caratterizza quelle varietà a base di pasta di semola. Come spesso succede, le richerche sul web mi hanno portata un po' ovunque e sto imparando a capire che i confini dei sapori sono molto labili. Ci troviamo comunque in Medio Oriente, in quella zona che va dal Pakistan alla Turchia, passando per Iran, Iraq e Paesi del Sud Arabia. Ritroviamo l'halva anche nella cucina israeliana e indiana, africana e greca. Non sorprende,  poiché sono state diverse le contaminazioni tra questi paesi e qualcosa - più che andare perduto - si è immancabilmente integrato. Si tratta di un dolce semplice, arricchito a seconda delle tradizioni da cocco, pistacchi, arancia ma anche vaniglia e cioccolato. La versione che propongo oggi arriva dal blog di Dolci a go go, perché è la ricetta più simile all'halva che ho potuto mangiare una sera al ristorante indiano. Credevo all'inizio si trattasse di Barfi, dolcetto tipico indiano, ma questo non prevede la semola nell'impasto e io ricordavo bene che tra gli ingredienti ci fosse proprio il semolino.
Difficile dire a quale paese io mi sia avvicinata di più, posso però assicurare che sono molto buoni e molto dolci, ideali con una bella tisana fumante o come sfizio di fine pasto.

Ingredienti (per uno stampo rettangolare di circa 22 cm):

150 gr di semolino
50 gr di farina 
180 ml di latte
120 gr di burro
150 gr di zucchero semolato
150 gr di zucchero di canna
80 g di cocco disidratato
1 cucchiaio di succo di limone
1 cucchiaino di lievito per dolci
1 cucchiaino di aroma naturale di vaniglia
mandorle pelate

Iniziare preparando lo sciroppo che andrà spennellato a fine preparazione. 
Versare i 150 gr di zucchero semolato in un pentolino insieme a 150 ml di acqua e al succo del limone. Far bollire il composto mescolando per una decina di minuti, fino a quando non assumerà quell'aspetto trasparente e "sciropposo". Riporre in frigo e far raffreddare. 
In un recipiente unire il burro fuso con lo zucchero di canna e lavorarlo con le fruste. Aggiungere a seguire tutti gli altri ingredienti (farina e lievito setacciati) e amalgamare con cura. Versare l'impasto in uno stampo rettangolare ricoperto con carta da forno (molto pratica al momento di estrarre il dolce) e cuocete a forno caldo per circa 30 minuti a temperatura medio/alta (170°/180°). Infine sfornare, irrorare con lo sciroppo freddo, guarnire con le mandorle sgusciate e incidere la caratteristica forma a rombo. 
Quando gusto e semplicità s'incrociano è sempre difficile dire di no!
Ma avete dato un'occhiata alla ricetta cubana di Kochab? Io l'ho già messa in coda, devo assolutamente provarla! Non so da che parte del mondo decideremo di andare prossimamente, mi chiedo se possa azzardare qualche anticipazione. Ma si, azzardo. Grecia e Inghilterra? Niente di più distante si possa immaginare...