mercoledì 31 ottobre 2012

Supplì veg al telefono, sognando lo Street Food

Cibo da strada, proprio lui. Ultimamente un mio pallino fisso che si ricollega alla voglia di incrociare sapori e odori dietro ogni angolo asfaltato. Una voglia che è cresciuta con trasmissioni girovaghe in cui dietro ogni angolo pare esserci davvero un chioschetto - a volte anche simpaticamente arrabbattato - in cui qualcuno si da da fare con pentole e tegami. Il tutto condito da un tipico crocchio di gente di ogni stampo: ragazzi, lavoratori, passanti e qualche turista che non si lascia intimidire. E io m'immagino sempre in giro per il mondo, sperduta in qualche viuzza di città o paese, catturata da un profumo come il personaggio di un fumetto. Sarà banale, trito e ritrito, ma per quanto raffinato possa essere un ristorante, non c'è cibo da strada che possa fargli concorrenza. Perché è lì che la gente mangia, è lì che s'incontrano i veri sapori. Magari un po' rustici, poco raffinati, ma autentici. Il cibo poi - pensateci - ha molto a che fare con l'odore che uno si porta addosso: spezie e condimenti restano nell'aria, a voltre traspirano dalla pelle, accompagnandoci. Se si torna da un viaggio e si profuma ancora di dopobarba o deodorante, forse qualcosa di speciale è mancato.

Ma poi ve lo viene a dire una che ha viaggiato solo con la fantasia. Anche se con la fantasia mi sono presa tante libertà, tutte da leccarsi le dita.

In Italia - e a Roma in particolare, la mia città - lo Street Food non ha aderito come in tanti altri paesi, soprattutto orientali. Si, abbiamo i nostri paninari, i nostri pizzettari a taglio, i nostri porchettari o venditori di specialità locali, ma quel modo tipico di cucinare per la strada, offrendo piccole prelibatezze o piatti fumanti di qualcosa da assaggiare assolutamente, da noi proprio non c'è. Il cotto e mangiato forse non appartiene alla nostra cultura o forse soltanto alla nostra epoca. Epoca in cui tutto deve essere segnato su un'etichetta che non legge nessuno (correggo: che leggono in pochi) e snaturato a tal punto da diventare quasi sintetico. Ci preoccupiamo tanto della provenienza di questo e quello ma alla fine la roba che finisce sulla nostra tavola resta un mistero. Chi manipola il cibo che mangiamo? Ci piace pensare che sia qualcuno con i guanti in lattice e la cuffietta di tela in testa. In ogni caso una tristezza. La cucina da strada - pur essendosi evoluta ed essendo diventata anche "raffinata" (vedi in America, in cui i moltissimi camioncini attrezzati per lo street food si sono specializzati in cucine sempre più elaborate - vuoi per la concorrenza o per l'intraprendenza delle nuove generazioni) - mantiene ancora un rapporto diretto, vicino a chi mangia. Spesso l'odore che cerchiamo è in una bancarella con un pentolone che ribolle di qualcosa di sconosciuto o dentro un panino farcito di salse piccanti o dietro l'angolo della strada, in cui mangiare diventa anche pretesto per avvicinarsi all'altro.

Sognando lo Street Food, io non esiterei a servire nel mio baracchino improvvisato dei supplì al telefono tipicamente romani. E per andare incontro alle esigenze di tutti, proporrei anche dei supplì vegetariani, come questi.

Ingredienti per circa 8 supplì:

300 gr di riso da risotti
3 uova
1/2 cipolla
passata di pomodoro
sale
mozzarella
parmigiano
pangrattato
brodo vegetale
olio di semi

Piccola e doverosa digressione. Il supplì romano è di forma ovale, preparato originariamente con le rigaglie di pollo e comunemente con del semplice macinato. A differenza di arancini e simili, non contiene altri ingredienti oltre alla  mozzarella che fondendosi crea il tipico filo a cui si deve la caratteristica del nome. 
Qualsiasi altro preparato di riso, non è supplì. Quindi, anche il mio non si può considerare un autentico supplì romano ma sicuramente è un autentico supplì romano vegetariano, direttamente dalla cucina di casa mia.

Sembra che ognuno abbia la sua "dritta" per preparare un supplì veramente D.O.C. e se così non fosse mi dispiacerebbe. Avete notato che anche le ricette più semplici sono conosciute in molteplici varianti? La polpetta di riso non potrebbe fare eccezione. Quindi, c'è chi sostiene che la panatura debba farsi con uovo e pastella, chi cuoce il riso insieme al macinato, chi lo lessa a parte, chi...be', chi si assicura di assaggiare tutte le versioni e provare sulla sua pelle i molti modi in cui mangiare supplì! Io l'ho preparato così:

Lessare il riso nel brodo vegetale (non nel dado se possibile, ma in vero brodo in cui sbizzarirvi con ortaggi ed erbe a vostro piacimento) e scolarlo al dente. E' importante non stracuocere il riso che nella polpetta finirebbe per diventare un ammasso papposo, buono solo se avete perso tutti i denti. O se ancora dovete metterli, ma forse in quel caso il supplì non fa per voi. Il vero supplì romano si prepara invece come un risotto, ovvero aggiungendo brodo di carne man mano che cuoce. 
In una padella soffriggere la cipolla tritata con l'olio, aggiungere la passata di pomodoro (ovviamente io sono andata ad occhio!), salare e portare a cottura aggiungendo solo un mestolo di brodo o acqua. 
Quando il riso è al dente, scolarlo e amalgamarlo al sugo. Togliere dal fuoco e integrare le uova. Farlo raffreddare. E qui apro un'altra parentesi doverosa: è bene prepararsi con un po' di anticipo, in modo tale che il riso si raffreddi e compatti bene, altrimenti si rischia di avere un supplì slegato. Aggiungere il parmigiano e mescolare bene. Stendere il riso in un piatto bello grande e farlo raffreddare. Dopo qualche ora, lavorare il composto ottenuto formando la classica forma ovale e inserendo un dadino di mozzarella all'interno. Passare ciascun supplì nel pangrattato avendo premura di ricoprirlo a dovere. A questo punto friggere in abbondante olio di semi, servire caldo, spaccare a metà e far filare la mozzarella. 

La tipica faccia da supplì è quella da ustione, che vi ho risparmiato. Vi consiglio solo di tenere le due metà con entrambe le mani o spariranno dal vostro piatto...



lunedì 22 ottobre 2012

Guacamole

Destinazione Messico. Sarà per "colpa" di tutte le ultime letture a zonzo per questa terra di contrasti, vivacissima e povera, fiera e polverosa, ma la scelta per la ricetta settimanale dedicata alla categoria dell'altrove è ricaduta sulla famosa salsa azteca. Già, perché come al solito non ci siamo inventati niente, al massimo abbiamo arricchito di sapori qualcosa di antichissimo, reinventandolo. 

Da informazioni raccolte un po' ovunque sul web, pare che gli antichi abitanti della Valle del Messico fossero soliti preparare il Guacamole (che vuol dire proprio salsa di avocado, dall'unione delle due parole Ahuacatl e Molli, un incrocio di spagnolo e antico dialetto azteco), semplicemente con il frutto ben maturo, il succo del lime e sale. Controversia sull'uso o meno del pepe, in quanto pare che il pepe nero fosse allora sconosciuto sebbene non escludo potesse esisterne una variante locale. Mi è riuscito difficile accertarmi sull'uso esatto degli ingredienti originali, soprattutto perché nel tempo la salsa si è arricchita di odori e spezie, adattandosi forse a successive contaminazioni o semplicemente alla voglia di cambiare e avvicinare il palato a sapori più piccanti. Tant'è che il peperoncino è diventato un "must" di questa salsa messicana, purché sia peperoncino jalapeños - piccantissimo! Il peperoncino che ho utilizzato io è invece "de casa mia", raccolto dall'orto e fatto seccare in cucina. Non è la stessa cosa, ma pur avendo girato diversi negozi etnici (dall'indiano all'africano) e avendo setacciato il reparto ortofrutticolo dei vicini supermercati, non sono riuscita a trovare 'sto benedetto jalapeños e ho dovuto mio malgrado ripiegare sul suo cugino italiano. 

Perché - divagando un po' - il bello delle ricette dal mondo non è solo il cimentarsi con sapori nuovi e insoliti ma anche l'attenta e paziente ricerca degli ingredienti, quel prezioso ficcare il naso dentro negozi nei quali si è sempre pensato di dare un'occhiata e sentirsi - piacevolemente - stranieri in casa propria. Citando l'ultimo libro letto:

Per certi viaggi non si parte mai quando si parte. Si parte prima. A volte molto prima.
(Fulvio Ervas)

Io credo di essere partita per il Messico diversi mesi fa, quando ho incrociato le parole di Pino Cacucci e me ne sono lasciata catturare. Il viaggio continua e si arricchisce di altre percezioni sensoriali, in attesa di mettere un giorno piede in quella terra piena d'incanti e allo stesso tempo aspra, selvaggia, combattiva. 




Ingredienti:

1 avocado maturo
1 lime
1 pomodoro pelato
1/2 cipolla
2-3 peperoncini
semi di cumino (o cumino in polvere)
sale


Come suggerito poco fa, l'avocado deve essere ben maturo (ma non terribilmente molle!), tanto da potersi scavare con un cucchiaino. Consiglio inoltre di schiacciare preventivamente i semi di cumino in modo da permettergli di rilasciare l'aroma e di amalgamarsi meglio al resto della salsa. Personalmente preferisco sempre utilizzare i semi interi e lavorarli a mio piacimento che adoperare le polveri. In parte per una questione estetica, in parte perché mi piace maneggiare le erbe e le spezie, toccarle e annusarle come fossero appena colte. E poi diciamolo, sono davvero belle, ognuna con la sua forma e le sue piccole imperfezioni.

Per fare le cose fatte davvero bene, vi occorre un mortaio. Accessorio antico e mai fuori moda anche nelle cucine più all'avanguardia. Ovviamente nulla vi vieta di schiacciare l'avocado con una forchetta dentro un recipiente di plastica. Sappiate però che gli Aztechi disapproverebbero, loro utilizzavano il molcajete (il mortaio, appunto) e credo che i puristi del basilico fatto in casa a colpi di pestello ne sappiano qualcosa.

Tagliare a metà l'avocado, estrarre il nocciolo e scavare la polpa con un cucchiaino. Lavorarla nel mortaio fino a ridurla in una purea cremosa. Aggiungere il pomodoro fatto in pezzi, la cipolla tritata, il succo del lime, i semi di cumino schiacciati, il sale e i peperoncini tagliati a coltello. Continuare ad amalgamare e far riposare il composto per una mezzora in frigorifero prima di servirlo. L'accompagnamento ideale ovviamente è dato dalle Tortillas, che vi consiglio di acquistare nella versione non esageratamente salata - tipo patatina fritta.

Non so dirvi se mi sono avvicinata all'orginale, considerando che altre varianti della stessa ricetta prevedono l'aggiunta di aglio e coriandolo fresco. Inoltre non ho mai assaggiato un Guacamole messicano e quindi devo affidarmi esclusivamente al mio palato: sapore fresco, pungente, dolce. Sicuramente insolito. Ma una tortilla tira l'altra ed è finito tutto. 



domenica 14 ottobre 2012

Salame di cioccolata con arancia e pistacchi

Ogni promessa è debito. Anche se in ritardo. Anzi, proprio perché così in ritardo ho voluto farmi perdonare con questo tronchetto della felicità. Perché posso assicurare che vi renderà felici. Considerate che non ho avuto neanche il tempo di mettere in posa il dolce per una foto decente, in quanto è stato spazzolato nel giro di pochi minuti. Quindi dovrete accontentarvi di questo scatto obliquo e mezzo tranciato (be', almeno si vede l'interno!) che spero stimoli lo stesso le vostre papille gustative.


Ma prima di raccontarvi la ricetta, mi piacerebbe che faceste un salto qui, a leggervi la pagina di Kochab e del suo piatto peruviano, per la nostra rubrica di Ricette dal mondo. Lui ha davvero iniziato alla grande!! Per fortuna tra di noi c'è qualcuno che prende le cose seriamente. Se volete farvi un viaggietto in terra peruviana tra cibi, storia, musica e immagini, vi consiglio di prendervi dieci minuti del vostro tempo per leggere le sue parole. In attesa delle altre che spero saranno numerose e arriveranno presto.

E ora veniamo a noi. Ho preso la ricetta dal blog di Pippi ed è "tutta colpa sua" se a volte mi lascio andare a questa prelibatezza. L'importante è farlo senza rimorsi, perché le cose belle non se lo meritano.

Ingredienti:

100 gr di biscotti secchi (io Oro Saiwa, che sono adattissimi)
100 gr di nocciole sgusciate
100 gr di pistacchi sgusciati
1 manciata di uva passa
1/2 bicchierino di rum
150 gr di burro
1 uovo
2 tuorli
100 gr di cacao amaro in polvere
150 gr di zucchero a velo
1 arancia

I miei ingredienti differiscono di poco da quelli di Pippi: ho usato un po' meno biscotti e al posto del liquore all'arancia - che non avevo - ho unito del prosaicissimo rum che con il cioccolato sposa benissimo. 

Prima di tutto mettere in ammollo l'uvetta nel rum e tenere da parte. Intanto lavorare a mano (con una spatola) il burro ammorbidito e lo zucchero a velo fino a ottenere un composto molto morbido e soffice. Aggiungere il cacao setacciato e le uova (una per volta amalgamando bene). Incorporare l'uvetta con parte del rum - a seconda del grado alcolico che volete dare al dolce - la buccia dell'arancia e le nocciole pestate grossolanamente. Unire infine i biscotti sbriciolati e mescolare con cura. A parte riducete i pistacchi a granella aiutandovi con il mixer. Attenzione a non polverizzarli del tutto, servono per il rivestimento esterno. 
A questo punto seguire il saggio consiglio di Pippi, ovvero imburratevi le mani e lavorate il composto adagiandolo sopra un foglio di carta da forno. Dategli la tipica a forma a salame aiutandovi anche con la carta. Infine il tocco di classe: distribuite la granella di pistacchio su tutta la superficie del dolce, facendolo rotolare e pressandola leggermente con le mani. 
Avvolgete il salame nella carta argentata e lasciate riposare in frigo per qualche ora. 
Tagliate a fette al  momento di servire.

Io vi consiglio di leccarvi le mani prima di lavarle e di accompagnare questa operazione top secret da un goccetto di rum. Da sturbo.

sabato 13 ottobre 2012

Risotto allo zafferano con gamberi e latte di cocco

Non so da dove iniziare, facciamo dal mezzo. Ho ricevuto un premio inaspettato e per questo accolto maggiormente con piacere. Non sono una aficionada di catene che fanno il giro dei blog, ma apprezzo molto il piccolo attestato di stima contenuto nel voler conferire un premio simbolico a qualcuno. Diciamo quindi che sono una aficionada dei simboli, che mi piace di più. In fondo, anche la scrittura è stata simbolica per molto tempo e molto prima che inventassimo la sottile efficacia dell'alfabeto. Ma ecco che inizio a divagare. C'è un modo più bello per dire grazie a qualcuno se non dicendogli grazie? Irene Spagnuolo, se continuassi la catena del premio, sicuramente saresti - accanto alla mia cara amichetta Luna - una delle premiate. E non per gentilezza, non per ricambiare qualcosa. Ma perché - come ho scritto anche tra le tue pagine - mi piace la voglia di comunicare ed esprimerti che traspare dai tuoi blog, numerosi e ricchi dei tuoi interessi. Quindi beccati 'sto Dardos per la seconda volta!



E ora veniamo a noi. E a quella famosa promessa di una fetta di dolce. Qualcosa forse vi dice che per oggi niente dolcezze. Però ho comunque una piccola novità. Insieme a un altro blog ancora tutto da scrivere, si è deciso di dare spazio e voce a una passione comune: quella delle ricette dal mondo. Da questa rubrica dedicata settimanalmente a un piatto testato nelle nostre cucine e condiviso con voi, mi piacerebbe che un giorno nascesse un bel contest. Per il momento è solo tanta voglia di assaggiare e scoprire, fare incetta di spezie, annusare, riconoscere e conoscere nuovamente. 

La mia ricetta di oggi apre questo spazio in cui spero verrete a trovarci spesso, lasciando i vostri consigli e le vostre esperienze di cuoche curiose. Luna, ti aspetto.

 Premetto che non è una ricetta propriamente di una parte di mondo. Ho voluto iniziare con una eccezione, ovvero mescolando un po' i paesi e i sapori.
Mi sembrava un buon modo per cominciare, in fondo.





Partendo quindi dallo zafferano nostrano, mi sono avventurata verso sapori meno consueti. Ho preso la ricetta da una rivista di una qualche sala d'attesa (incroci della vita) e ho aspettato il momento giusto per cucinarla.

Ingredienti per due persone:

200 gr di riso basmati
10 gamberoni freschi
1 lattina di latte di cocco
1 bustina di zafferano in polvere
2 spicchi d'aglio 
vino bianco
olio
sale

per il brodo:

teste di gambero
2 rametti di timo
2 rametti di maggiorana
1 foglia di alloro
1/2 cipolla
1 carota
zenzero fresco

Per prima cosa preparare il brodo. Io ho utilizzato solo 5 delle dieci teste di gambero, perché il brodo non era molto e non volevo risultasse troppo forte. Contrariamente alle mie aspettative è risultato piuttosto delicato nell'insieme.
Unire tutti gli ingredienti in una pentola, aggiungere l'acqua e portare a bollore. Cuocere e far riposare per un po' prima di filtrare. Personalmente non aggiungo mai il sale nel brodo, preferisco salare a fine cottura i miei piatti. Dopo averlo filtrato, far sciogliere lo zafferano in una tazzina con una o due cucchiaiate di brodo tiepido. Tenere da parte. 
In un padellino far rosolare gli spicchi d'aglio, aggiungere il riso e far mantecare con il vino. Aggiungere in seguito e gradualmente il brodo. Circa a metà cottura, integrare lo zafferano e mescolare con cura. Unire i gamberi (puliti e sbucciati) e una buona mestolata di latte di cocco. Apro una parentesi. Consiglio di abbondare con questo ultimo ingrediente che dovrebbe in fondo fare la differenza. Quindi, prima della fine della cottura (fate attenzione perché il basmati non è come l'arborio da risotti, cuoce prima) aggiungetene senza timore una seconda mestolata. Fate assorbire il liquido fino a renderlo cremoso. Impiattare e mangiare caldo.

Confesso che - forse per non essere stata troppo generosa con il latte di cocco - il sapore è risultato molto delicato nonostante la mescolanza di sapori. Un felice restrogusto insolito, ma troppo impercettibile per essere degnamente ricordato. Quindi non ancora un vero e proprio viaggio, diciamo che è stato come uscire di casa e aprire il cancello!! Be', da qualche parte si deve pur cominciare, giusto?

Aspettatevi invece grandi cose dalla ricetta di Kochab, lui è partito in quarta come si dovrebbe...senza prendere la rincorsa.

mercoledì 3 ottobre 2012

"E' la sensazione della corda di un arco che è rimasta tesa per anni, e all'improvviso scatta"


Da quanto non scrivo nel blog? Da tanto, troppo tempo. Ho avuto una (in)sana voglia di essere nel mondo, vivermelo senza il filtro di uno schermo. Ogni volta che mi sono ritrovata sull’orlo di questa tastiera, mi sono detta “per oggi no”. Pensieri e discussioni in merito a letture, eventi, atteggiamenti. Una matassa bella intricata che mi fa sentire un piccolo vulcano in eruzione, pronto a spararmi nel cielo in fiammeggianti rocce di fuoco. Poetica a parte, la notte non riesco a dormire. C’ho troppo da pensa’, per dirlo alla romana. Troppo che mi si smuove dentro, tante novità, tra cui un lavoro iniziato i primi di settembre e partito alla grande, catapultandomi nel regno delle possibilità. Sono nuova e vecchia al tempo stesso, in fase di perenne cambiamento e maturazione. Mi piace. Leggo molto, sempre, bevo pagine e storie perché mi raccontino chi sono e cosa c’è intorno a me. E perché mi piace innamorarmi, sempre, delle cose che non so. Innamorarmi per poi – come in tutti i grandi amori – litigare e discutere, oppormi, fare la pace e mai, mai lasciar andar via nulla. “Io voglio il mondo. E lo voglio adesso!” diceva Jim Morrison.

In tutto questo posso parlare di cucina? Mettermi a discutere di dosi e tempi di cottura? Non so, non ci riesco. Lo vorrei molto, ma non ci riesco. Ho cucinato tanto sebbene con un po’ di noia. Insomma, stare inchiodata ai fornelli in giornate che sparano sole nel cielo o pioggia da bere, è uno spreco. Spreco per l’anima mia che ha voglia di correre ancora. Di nuovo. E di scrivere parole senza direzione ma piene di sorrisi. Quei cazzo di sorrisi indigesti per qualcuno e che allora per me diventano risate cristalline, trasparenti, de core.

Oggi sto così. Domani offro a tutti una fetta di dolce. Promesso.