martedì 31 luglio 2012

Verso Sud

La strada porta sempre a Ovest (o era a Nord?) dice Emile Hirsch nel ruolo di Chris, l'Alexander Supertramp che voleva vivere nella natura selvaggia. O forse voleva solo attraversarla, mettersi alla prova, comprendersi. Jack Kerouac - in On the Road - dice di trovarsi a metà strada tra l'Est della mia giovinezza e l'Ovest del mio futuro

La mia strada, invece, porta a Sud.

Non ero partita per andare in questa direzione ma la strada è fatta così, piena d'imprevisti e improvvisazioni. Come sempre tutto è iniziato leggendo, vedendo film, parlando, puntando il dito su una cartina geografica e sognando il viaggio. E non ho mai viaggiato da sola, perché accanto a me - sempre presente - quel filo turchino a cui ho dedicato il mio blog, meraviglioso incrocio di storie e di vita in perenne mutamento. 

Ma le storie - tutte le storie - sono come piccoli tasselli ai quali ognuno aggiunge una parola, un'esperienza, un'emozione. Per questo ho deciso di creare uno spazio in cui condividere il vostro Sud, quello che amate, quello che sognate o avete vissuto in qualche viaggio, quello che cucinate o semplicemente vorreste conoscere. L'esperienza, quando è condivisa, si arricchisce. 

Verso Sud è un gruppo creato su Anobii in cui mi piacerebbe che si mescolassero le esperienze di ciascuno in un dialogo fatto di richiami e rimandi, consigli su cosa leggere o vedere, ricette, attualità, politica e notizie del Sud America. Partendo dal Messico, terra di mezzo al confine con gli Stati del Nord e ponte tra due mondi e allo stesso tempo mondo a sé. 

Non mancherò d'integrare questi due spazi, ma spero verrete a trovarmi anche lì. Vi aspetto.
  

lunedì 30 luglio 2012

Parmigiana di verdure al forno

Ho una fantasia ricorrente. Io che corro, all'alba, lungo le strade della mia città. E' una di quelle fantasie salutiste con cui mi racconto che nella vita (e nella corsa) è solo una questione di volontà e nient'altro. Ogni volta che ci penso mi viene in mente Schliemann, che la mattina presto - prima di buttarsi testa e cuore negli scavi archeologici (lui, figlio di un poverissimo pastore protestante) - si faceva una nuotatina nelle acque gelate dell'Egeo.
Mi piace credere lo facesse per fortificare l'anima ma anche per scaricare tossine e "sudare dentro". Sudare è importante. Tratteniamo il sudore in tutti i modi possibili perché nella socità civile sudare è sconveniente. Forse è per questo che la corsa fa sentire per un attimo veramente liberi, scagliati come una freccia scoccata dall'arco teso dentro di noi. Correre verso un impulso, una tensione, sudando anche l'anima. Quelle gocce che ci bagnano la faccia, scivolano lungo il collo, si trattengono intorno alla cavità della gola e poi - come il delta di un fiume visto dall'alto - si ramificano e vanno a morire lungo le pieghe del nostro corpo in movimento, assorbiti dal tessuto dei nostri indumenti. Per una volta non dobbiamo preoccuparci di sudare, di nascondere uno stato fisico che il corpo stesso richiede. Non dobbiamo preoccuparci di togliere il sudore dal viso, tamponandolo in continuazione con un fazzoletto.
Sudare è qualcosa di eroico, solitario - come correre all'alba o gettarsi  nel mare a nuotare. 

Penso spesso alla corsa ultimamente, forse perché l'immobilità mi uccide e con essa tutta la scia di cose inutili che l'inattività si porta appresso. Il movimento è sempre il miglior antidoto, il miglior rimedio. Finché avrò questo impulso dentro di me, l'immobilità mi farà un po' meno paura.




Ingredienti:

2 melanzane
4 zucchine grandi
2 patate
1 mozzarella
parmigiano
 pomodoro in pezzi
1/2 cipolla
basilico
olio
sale




Ho preso spunto per questa ricetta da un blog che amo molto, sia per la cura che per la semplicità dei suoi piatti, accompagnati sempre da foto che fanno pensare a qualcosa di fatto a mano, con passione. La ricetta originale la trovate qui e con l'occasione saluto Fiordirosmarino - che mi ha offerto parecchi spunti interessati e non mancherò di pubblicare presto anche gli altri.

Forse la mia ricetta è un po' meno leggera della sua ma non ho saputo resistere alla tentazione di rendere tutto più calorico. No, non ho fritto le verdure!!! La parmigiana d.o.c. si prepara con melanzane rigorosamente fritte nell'olio, io invece la cucino sempre con melanzane grigliate (e non per una questione di linea, quanto di gusto e praticità). Però mi sono concessa il soffritto di cipolla in cui affogare il pomodoro, questo si. Be', direi che è il caso di raccontarvela dall'inizio questa storia.

Tagliate tutte le verdure a fette non troppo sottili - ma neanche eccessivamente spesse. Diciamo un mezzo centimetro di spessore. Grigliatele (senza olio e senza sale) e mettetele da parte. Anche le patate, si. Intanto affettate la mezza cipolla, rosolatela nell'olio e dopo pochi minuti aggiungete il pomodoro in pezzi. Quanto? Io mi sono regolata ad occhio, come sempre. Non mi piacciono le verdure troppo sugose, quindi ho utilizzato un mezzo barattolo (o poco più della metà). Vi consiglio però di utilizzare i pomodori pelati che sono molto più buoni e saporiti. Salate e fate asciugare il liquido senza portare a cottura definitiva. 

A parte tagliate la mozzarella a fettine e fatela scolare. Sminuzzate il basilico. Quando tutti gli ingredienti sono pronti non resta che disporli sulla tavola e liberare la vostra fantasia. Io non ho seguito uno schema preciso, mi sono lasciata prendere dalle possibilità del momento alternando strati a seconda dei miei gusti. Ho iniziato con il pomodoro (che serve anche per non far attaccare nulla sul fondo), poi ho proseguito con le patate, le zucchine, le melanzane e ho ricominciato alternando a mio piacimento. Tra uno strato e l'altro, abbondante parmigiano e foglioline di basilico. La mozzarella l'ho alternata invece a gruppi di due strati (come per il pomodoro) perché non mi piacciono né le verdure sugose né quelle appesantite da strati filanti. Ho terminato con melanzane e zucchine miste, abbondante parmigiano e mozzarella sparpagliata. Ogni strato deve essere salato ma oliato con parsimonia perché il sugo già contiene dell'olio. 

Infornare per circa 20 minuti a 180°, far dorare la mozzarella - a me piace bella dorata come da foto - e tenere in forno spento in modo che si freddi senza diventare un mattone. Io trovo che sia ottima servita quasi a temperatura (viste le temperature di questi ultimi mesi direi che è perfetta) e accompagnata da un buon vino bianco, fresco e ottimo con le verdure. 

Che ve ne pare?

domenica 22 luglio 2012

Pan Brioche


Quando ho detto a mia madre che volevo provare a fare il Pan Brioche, le si sono illuminati gli occhi. Lo mangiava la mattina prima di andare a scuola, un paninetto dolce su cui spalmare della marmellata o magari da mangiare così, semplicemente a morsi. 
Ci sono sapori che non cambiano mai nel tempo e ripescarli nella memoria insieme a tutto il bagaglio di ricordi che si portano dietro, è rassicurante. Forse anche un po' malinconico, ma di una malinconia che sorride. 

Ingredienti:
(dosi per uno stampo da plum cake)

250 gr di farina 00
250 gr di farina manitoba
150 ml di latte
30 gr di zucchero
25 gr di lievito di birra (un cubetto fresco o una bustina di quello secco)
2 uova
100 gr di burro
1 pizzico di sale

In un ampio recipiente versare la farina a fontana insieme allo zucchero. Al centro disporre il lievito sciolto nel latte tiepido e le uova. Amalgamare incorporando a mano a mano la farina, quindi aggiungere il burro ammorbidito e tagliato a dadini e il sale. Lavorare l'impasto fino a che non sia morbido ed elastico (tende a rimanere un po' appiccicoso).
Dividerlo in tre panetti che andranno disposti nello stampo leggermente distanziati (lievitando si ingloberanno a vicenda) e inciderli con un taglio a croce. Far lievitare in questo modo dentro il forno (spento e non riscaldato) per almeno un'ora. Successivamente togliere lo stampo dal forno, accenderlo e scaldarlo leggermente per la seconda lievitazione. Porre nuovamente il pan brioche nel forno tiepido (ma spento) fino a quando l'impasto non sporge dallo stampo. A questo punto spennellarlo con dell'uovo sbattuto o del latte e cuocere a 170° per mezzora a forno ventilato. Io ho usato uno stampo in silicone, per gli altri stampi è meglio aspettare che si freddi bene prima di estrarlo.

Buono sia come pane per la colazione ma azzeccato anche insieme ad un piatto di affettati, magari per un antipasto. E se lo consiglia la mamma...

giovedì 19 luglio 2012

Di sassi, robot e boschi vecchi

Qualche giorno fa sulla spiaggia ho trovato questo. Un comune sasso rosicchiato da qualche animale o dal lento scavare delle onde. Sembra un volto e a me ricorda molto il robot dalle lunghe braccia di Laputa, opera terza di Miyazaki datata 1986. In Italia il film è arrivato solo nel 2004 in  versione home video. Abbiamo dovuto attendere il 2012 per vederlo sul grande schermo e in una versione doppiata per l’occasione. Chi conosce il genio di Miyazaki sa bene che i suoi film d’animazione non sono solo per bambini ma forse neanche completamente per adulti.

Io l’ho conosciuto tardi e per puro caso. Ho visto per la prima volta Il castello errante di Howl dopo la sua uscita nelle sale cinematografiche e ne sono rimasta molto colpita. Be’, colpita...Avevo due occhi spalancati come quelli dei bambini quando qualcosa li meraviglia o li stupisce. E chi se l’aspettava un castello mosso da un demone buono legato al giuramento di un ragazzo che voleva soltanto essere libero? Libero da ogni forma d’educazione che sminuisce il talento, imprigionandolo in un codice di obblighi e doveri – quello stesso codice che rende l’uomo incline ad una guerra “giusta” e “necessaria”, una guerra contro l’uomo, la natura, la vita.

Miyazaki è un pacifista e lo è fin dai tempi di Conan (c'era una volta una città in quell'isola laggiù. C'era una via che passava di là, proprio dove vivi tu. C'era allegria, c'era felicità ma la guerra è una follia). Contrario ad ogni forma di guerra e violenza in nome di un progresso indiscriminato e pieno di brutture. Mi piace pensare che i piccoli protagonisti dei suoi film non rappresentino l’innocenza …ma la memoria. I bambini ricordano anche ciò che non sanno. E’ qualcosa che fa parte di un’innata appartenenza alla terra e alla vita e che con il tempo – crescendo – si dimentica. Anche il nostro Dino Buzzati – nei suoi romanzi pieni di spiriti e spiritelli, boschi e montagne – era convinto di questo.

Mi rendo conto, scrivendo, di aver tralasciato molto di ciò che in realtà volevo buttare fuori da quella cavità profonda da cui gorgheggia l’emozione. C’è qualcosa di difficile nella scrittura, qualcosa che m’impedisce di essere semplice.

Ho poggiato il sasso sul mio comodino. Ogni volta che lo guardo sorrido e penso che anche se non è caduto da nessuna città sospesa nel cielo, arriva però da un altro passato.
E’ solo un sasso, mi dico. Ma non me lo dico sul serio.


In certe notti serene, con la luna grande, si fa festa nei boschi. E’ impossibile stabilire precisamente quando, e non ci sono sintomi appariscenti che ne diano preavviso. Lo si capisce da qualcosa di speciale che in quelle occasioni c’è nell’atmosfera. Molti uomini, la maggioranza anzi, non se ne accorgono mai. Altri invece l’avvertono subito. Non c’è niente da insegnare al proposito. E’ questione di sensibilità: alcuni la posseggono di natura; altri non l’avranno mai e passeranno impassibili, in quelle notti fortunate, lungo le tenebrose foreste, senza neppur sospettare ciò che là dentro succede.
Dino Buzzati – Il segreto del bosco vecchio



domenica 15 luglio 2012

Le balene lo sanno


Quando finisco un libro – uno che mi è piaciuto molto – chiudo un attimo gli occhi e subito dopo torno alla prima pagina. Non so se sia un modo come un altro per guardarmi indietro, ma mi piace pensare che sia così. Come quando cammino e mi allontano da un punto conosciuto verso qualcosa che si trova oltre lo sguardo e mi volto indietro a osservare la strada percorsa, la distanza, la prospettiva di un paesaggio che sembra diverso. Non credo a chi sostiene che bisogna guardare solo avanti, forse perché non mi piace lasciare indietro la mia vita. Questo mi rallenta un po’, ma pazienza. E’ un bel viaggio e io voglio farlo lentamente, dandomi il tempo anche per fermarmi a rileggere un libro.

E con Le balene lo sanno sono tornata indietro molte volte, sempre con un profondo piacere. Sembrerei esagerata se dicessi che ogni parola è l’inizio di una storia che Cacucci racconta, ma è proprio così che succede. Ci sono balene consapevoli, pirati ribelli, idealisti e rivoluzionari, gesuiti caparbi e antichi conquistadores. C’è la Baja California con i suoi indios sottomessi a lavorare la propria terra, piccoli villaggi sperduti intorno a montagne di sale e deserti interminabili. Paesaggi in continuo mutamento eppure immobili, attraverso cui Cacucci non racconta soltanto un viaggio, ma il bagaglio prezioso della sua esperienza di viaggiatore. Attraverso la musica e le parole, il suo Messico si svela senza presunzione di scoperta ma con la semplicità che appartiene alla particolare commozione di esserci in quel momento, in quell’istante. Che sia durante un’eclissi di luna oscurata dal fumo di una braciolata o di fronte alla grandezza di un mammifero straordinario, non è mai la Storia ad essere raccontata, ma la personale esperienza di un cuore stropicciato e commosso, che diventa riflessione e meraviglia per chi legge.
Ma cosa sanno le balene? Qualcosa che noi abbiamo dimenticato da tempo o che forse non abbiamo mai imparato ma che il Messico – prima di tutti gli altri – ha iniziato a capire.

Alla fine di questa lettura ho un solo desiderio inappagato: quello di mettere magliette e mutande in uno zaino e partire. Perché seguire il viaggio dal sud della Baja fino alla linea di confine con gli Stati Uniti – confine di sogni, speranze, illusioni e droghe – attraverso la cartina disegnata a mano da Cacucci e guardare le foto scattate cercando di entrarci dentro, è una tortura a cui non si vorrebbe dire basta. “Dimmi una parola ancora e parto davvero”.
Ma poi il libro finisce e ti ritrovi come un fesso a fissare una cartina immaginaria e a tracciare linee in aria per ogni sosta o deviazione, lungo quella Transpeninsular che attraversa la Baja per tutta la sua lunghezza. Ma un giorno ci andrò. Oh, se ci andrò.
Forse le balene sanno anche questo.


Addio ti dico, ma non me ne vado
me ne vado, ma non posso
dirti addio

Pablo Neruda 
 

giovedì 12 luglio 2012

Spaghetti con zucchine, gamberetti e rucola allo zenzero

Ma torniamo a parlar di cucina. Con questa ricetta partecipo al consueto appuntamento con Max e il suo contest intitolato al coccio. Dopo la pausa estiva di agosto (mi sembra proprio di ricordare così) il contest riprenderà a settembre, mese di nuovi inizi - perché l'anno nuovo inizia a settembre, mica a gennaio. 

In questi ultimi mesi mi sono dedicata prevalentemente a preparazioni di primi piatti, spesso unici, e a pensarci bene è parecchio tempo che non acquisto carne. Pesce si, magari da fare al forno con qualche erbetta, ma carne neanche a parlarne. Il mio must  del momento sono dolci e primi, che preparo anche per le mie sortite al mare - saltuarie ma sempre mangerecce. 

Come ho già sperimentato con la mia pasta e carciofi, lo zenzero si sposa molto bene con pietanze a base di verdure ma anche di pesce - come in questo caso. D'altra parte l'aroma ricorda quello del limone ma con una nota di piccante. Vi consiglio di provare. 


Un contest al mese per 12 mesi




Ingredienti per due persone:

1/2 kg di gamberetti freschi
4-5 zucchine (a seconda della grandezza)
1 spicchio d'aglio
rucola
zenzero fresco
olio
sale

Pulire i gamberetti spellandoli ed eliminando il filamento nero sul dorso. Tenere da parte le teste che serviranno per insaporire l'acqua di cottura della pasta. In un altro recipiente affettare le zucchine con l'ausilio di una mandolina - devono essere abbastanza sottili di spessore. Sbucciare lo spicchio d'aglio e rosolarlo in padella con dell'olio; aggiungere le zucchine, salarle e rosolarle quasi fino a cottura. Grattare lo zenzero fresco direttamente in padella e a seconda dei vostri gusti - non eccedete altrimenti ammazzate il sapore del gamberetto. Aggiungere infine i gamberetti e cuocere per altri cinque-sette minuti. A fuoco spento sminuzzare grossolanamente la rucola e mescolare lasciando da parte.


Mettere sul fuoco la pila dell'acqua con le teste. Raggiunto il bollore lasciatele cuocere per qualche minuto e poi eliminatele con una schiumarola. Nel caso filtrate l'acqua. A questo punto buttate la pasta e fatela cuocere scolando al dente. Trasferitela nella padella con il condimento e servire. Nel mio caso - e per restare in tema - ho utilizzato delle scodelle di coccio che a differenza dei normali piatti hanno una capienza migliore e mantengono il calore decisamente più a lungo.


Lo zenzero lascia in bocca un sapore fresco che accanto al pesce rende il piatto veramente gradevole e insolito. 


martedì 10 luglio 2012

Tanto rumore per nulla?

Non troverai mai la verità, se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi di trovare. 

Non aveva torto Eraclito. Bisogna aprire occhi, testa e cuore contemporaneamente per aspirare alla verità. Quella che - appunto - non ci aspettavamo di trovare. La verità che scardina i nostri punti di vista, la nostra credulità, le nostre opinioni.

Ho accennato brevemente in questo spazio agli europei di calcio e alla protesta contro la mattanza di cani in Ucraina. Stamattina, leggendo notizie in rete come mi piace fare appena sveglia, mi sono imbattuta in un articolo che mi ha fatto rimettere in discussione alcune certezze granitiche. Mi vergogno un po' per l'ingenuità, il candore e l'accanimento con cui ho affrontato la notizia dilagante sul web. Per citare L'Alternativa, ci sono cascata anch'io? E' difficile, per quanto si dica che basti un minimo d'informazione, discernere una notizia falsa da una vera. Nel caso dell'Ucraina, pare che le foto tanto divulgate e sulle quali è nata la polemica sugli europei, siano in realtà fasulle. No, non si tratta di peluches e salsa ketchup, ma neanche di fatti realmente accaduti in Ucraina. Le foto utilizzate appartengono (pare) ad un vasto repertorio di brutali crudeltà perpetrate ai danni di cani cinesi e rumeni di svariati anni fa. 

Come si sa - o come si dovrebbe sapere - lo sport (e il calcio in particolare) è spesso terreno di gioco per ben altre competizioni. Rimando a questo articolo che spiega molto meglio di quanto potrei fare io la questione Ucraina e la campagna mossa per screditarla - nella sua particolare terra di mezzo tra Russia e Occidente. 

Ora, ciò che mi preme affrontare - oltre alla veridicità o meno della notizia - è la questione "credulità". Le accuse mosse a sfavore del boicottaggio animalista si concentrano sulla genericità delle foto, sulla mancanza di fonti attendibili e documentate e poggiano invece sul "sentito dire", sulla divulgazione massiccia d'immagini atte a commuovere e indignare. La questione è: prima di accanirsi "anema e core" si dovrebbe come minimo accertarsi dei fatti. Lo sto dicendo a me stessa, ovviamente. Ma l'interrogativo come si fa a credere a tutto ciò che passa il web? è una domanda a doppio taglio, perché potrei pensare la stessa cosa di una qualsiasi smentita. Ovvero, chi mi dice che la manovra cani sia stata messa in atto davvero per screditare un paese per motivi che non hanno nulla a che fare con l'amore per gli animali? Dove sono le prove e le fonti attendibili che dimostrano la veridicità di questa opinione? Se le foto sono generiche e non hanno riferimenti, come si è risaliti ai cani cinesi e rumeni? Il dubbio resta. 

Andando oltre questo fatto particolare, mi chiedo come e quanto sia possibile oggi la vera libera informazione che permetta di farsi un'idea critica e almeno in parte scevra da pregiudizi (che tutti comunque abbiamo). Personalmente ho le mie difficoltà a seguire le varie testate on line, nonché i molteplici blog pieni (ciascuno) delle proprie verità. Per accertarsi di un fatto bisognerebbe passare mezza giornata solo a rintracciarne le fonti, leggere i commenti nonché sondare le proprie conoscenze in merito all'argomento e farsi qualche domanda. Un impegno non da poco. E poi c'è il fattore "quantità". Su quali notizie concentrarsi? Accadono milioni di cose nel mondo, ognuna degna di nota. Agli animalisti viene rimproverato di dedicarsi a questioni di cani schifando la sofferenza umana ben più importante. A chi si occupa delle ultime elezioni avvenute in Messico (così, un nome a caso) si rimprovera che ci sono già tanti problemi in Italia che hanno la priorità.
Insomma, ognuno spinge per mettere in evidenza qualcosa che ha a cuore e fin qui nulla di strano o sbagliato. Il problema forse è districarsi tra una montagna di notizie, è il prendere a cuore tutto e niente, è il diventare "mi-piace" compulsivi senza grattare la superficie dei fatti. D'altra parte andiamo tutti di fretta e articoli che vanno oltre le dieci righe diventano prolissi per i nostri impegni.

Il tempo per l'informazione ci è sottratto, così  come il tempo per la felicità. In fondo se pensassimo sempre a come cambiare il mondo per renderlo un posto migliore in cui vivere felici, smetteremmo di fare gli interessi dei pochi. 

...Che sia anche questa una cospirazione? Ingenuamente, credo di si.

lunedì 9 luglio 2012

La Tagua e la mia Torta tiramisù all'ananas e cocco

Ditemi che anche a voi sembra un sole stilizzato perché l'intento era proprio quello. Un fresco sole all'ananas per la torta di compleanno di mia madre che la scorsa settimana ha compiuto gli anni. La foto non rende, lo so. E' anche un po' sfocata. Poi il dettaglio delle paperelle (ochette?) sullo sfondo completa il quadretto da cena estiva in famiglia, con mio padre pronto ad affettare la torta lasciandomi giusto il tempo di scattare un paio di foto...


Ieri sera ho superato la mia orchite di sempre e ho fatto una passeggiata tra le bancarelle allestite in piazza, che sono per me un richiamo sempre irresistibile. Nonostante le conosca ormai a memoria - a rotazione si affacciano sempre le stesse persone - mi piace rovistare tra vecchi libri, dvd, oggetti usciti dalle cantine degli altri, utensili in legno lavorato e decorato a mano, ma anche borse e gioielli artigianali che non mancano mai. Questa volta però c'era anche una piacevole new entry.

Non avevo mai sentito parlare della Tagua, l'avorio vegetale estratto da una palma che cresce nelle foreste pluviali del Sud America. Una famiglia colombiana ha incentrato la sua piccola attività intorno alla lavorazione dei semi di questa pianta, da cui appunto è possibile ricavare oggetti di vario tipo. Viene chiamato avorio vegetale perché ricorda la consistenza e il colore dell'avorio animale, con la differenza che nessun elefante viene brutalmente ucciso come accadeva un tempo. E come forse ancora accade in parti del mondo non raggiunte dalle nostre reti televisive. Come dicevo, la Tagua è ricavata dalla lavorazione del nocciolo del frutto (mococha) il quale inizialmente contiene al suo interno un liquido dal sapore simile al latte di soia. Invecchiando, il liquido si solidifica formando appunto il nocciolo. Si tratta di un commercio ecosostenibile che preserva l'habitat delle foreste e offre allo stesso tempo una fonte di sostentamento attraverso il lavoro di raccolta e artigianato. I semi possono avere grandezze diverse e si prestano quindi ad essere lavorati manualmente, grazie a quell'abilità artistica che non ha ancora abbandonato l'essere umano.

Questa famiglia colombiana - tutti fieri del loro lavoro di cui parlavano con minuzia di particolari - si è dedicata alla lavorazione di gioielli realizzando collane e orecchini di notevole bellezza, utilizzando anche semi di altre piante: mais, caffè, meloni e altre piante provenienti dalle loro foreste, colorati e intrecciati con fibre naturali. C'erano anche fette di pomodoro, limone e banana essiccate e indurite con una sorta di gelatina. 

La scelta è stata dura, ma alla fine ho optato per un paio d'orecchini fatti di semi di melone colorati e uniti da cordicelle di diverso colore (una rosa e una verde). Niente Tagua per questa volta.




Il sole sulla mia torta è un omaggio al sole che ho dentro di me e che ritrovo un po' ovunque in questo periodo, soprattutto nei libri che leggo e nei viaggi attraverso quella navicella della fantasia che mi permette di staccare la spina quando ne ho voglia. E di volare.


Ingredienti:

per il pan di spagna

75 gr di frumina
75 gr di farina
5 uova
150 gr di zucchero
1 bustina di vanillina
1 bustina di lievito

per la farcitura

500 gr di mascarpone
5 uova
7 cucchiai di zucchero
1 limone
ananas a fette
farina di cocco

per la bagna

maraschino 
acqua

Volevo provare a realizzare il pan di spagna senza il lievito (come dovrebbe essere) seguendo le indicazioni di Laura, ma essendo già passata per due fiaschi consecutivi ho deciso di rimandare i miei esperimenti a giorni di non-compleanno...
Consiglio di preparare il pan di spagna il giorno prima o la mattina per la sera, in modo che si raffreddi bene prima di essere tagliato.

Dividere gli albumi dai tuorli e unire a questi ultimi lo zucchero. Mescolare con le fruste fino ad ottenere un composto spumoso. Aggiungere gradualmente la farina setacciata insieme al lievito ed alla vanillina. Amalgmare bene il composto e solo alla fine aggiungere gli albumi montanti a neve fermissima (con un pizzico di sale) mescolando con una spatola dal basso verso l'alto, affinché il composto non si sgonfi e inglobi aria. Cuocere in forno preriscaldato a 150° per circa 45 minuti. Una volta cotto far raffreddare completamente.

Dedicarsi infine alla crema. Montare i cinque tuorli con lo zucchero e la scorza di un limone. Quando il composto sarà chiaro e spumoso, aggiungere il mascarpone a cucchiate (una alla volta) e amalgamarlo con cura. Unire infine gli albumi montati a neve ferma e mescolare sempre dal basso verso l'alto con una spatola.

Tagliare il pan di spagna dividendolo a metà. Bagnare i due dischi con una bagna di acqua e maraschino (assaggiatela per regolarvi sul grado alcolico) e cospargere il disco inferiore con la crema. Adagiarvi le fette di ananas e cospargere con la farina di cocco. Chiudere il disco e ricoprire lo strato esterno con la crema, l'anans a vostro gusto e abbondante cocco a pioggia. 

La consistenza è morbida, proprio come un tiramisù, il sapore fresco e, credetemi, veramente buono. Dopo il primo giro ne era sparito mezzo ed eravamo solamente in quattro...



venerdì 6 luglio 2012

Fagioli a corallo con pomodoro e cipolla e gita all'Eataly

Non una verdura particolarmente gettonata nella mia cucina, ma una variante agli ortaggi estivi di cui comunque è difficile stancarsi. Melanzane, peperoni, zucchine e pomodori hanno tutti un posto in prima fila sulla mia tavola imbandita. Che imbandita non è, perché in questo ultimo periodo mi cibo in modo decisamente spartano davanti al televisore. Dipende, insomma. Comunque questa estate ancora devo cimentarmi in ricche parmigiane o peperonate al forno, tutte cosette leggere che è bene non farsi mai mancare all'ora dei pasti. Sicuramente il fagiolo a corallo ha dalla sua almeno la virtù della leggerezza. Quanto a sapore, cipolla e pomodoro gli danno indubbiamente una mano. 

Ma prima di deliziarvi con questa ricetta semplice come quelle che piacciono a me, apro una parentesi sulla gita all'Eataly romano di qualche giorno fa. Ne avevo sentito parlare ma non ero preparata a quanto mi sono trovata di fronte! Aperto all'ex Air Terminal Ostiense, costato una fortuna (e la vale tutta!) l'ultimogenito di casa Farinetti - l'imprenditore che ha ideato la catena enogastronomica esportandola anche fuori dai nostri confini - è un luogo accogliente, di gusto, in grado d'integrare il prodotto di nicchia al consumo di massa. Se cerchi qualcosa all'Eataly lo trovi e lo trovi in serie. Basta mercatini rionali, negozi etnici o ghiottonerie reperibili solo ai negozi del centro, ora tutto è a portata di qualche fermata di metro. Sarà un bene? Io mi pongo sempre qualche domanda e forse sempre una di troppo. Confesso che ne sono rimasta impressionata e che non mancherò di fare un'altra visita (la prima è stata praticamente un orgasmo alimentare) ma...(ecco che arriva la domanda) non sarà un tantinello eccessivo? Tanto di tutto, troppo di tutto. Personale numeroso e (ancora una volta) troppo discreto, troppo distante. Il rapporto con il prodotto è orientato all'acquisto diretto o al massimo veicolato da qualche citazione dell'Artusi ma non certo da uno scambio umano. Be', a questo siamo già abituati con i nostri supermercati, quindi niente di nuovo. Già. Appunto. Niente di nuovo (o quasi). Di nuovo c'è invece proprio il prodotto, o meglio la sua reperibilità, la sua facilità d'acquisto. Farinetti svela di essersi ispirato al mercato di Istanbul adattandolo a sua volta al nostro modo di "fare mercato", ormai molto americano.
Insomma, la terra dell'abbondanza regna sovrana sul suo isolotto di palme e banani mentre intorno galleggia indistinta la marana, ovvero quella che a Roma era la piscina dei poveri.

Ho portato con me - da questa gita sul filo della polemica come al mio solito - un'immagine insolita per un megacentro del gusto, qualcosa che certo non ci si aspetta: una magia contadina che fa bella mostra tra le moderne strutture e i lampadari scintillanti, senza nulla perdere della sua bellezza. La regalo a tutti voi che seguite le mie parole.

Steli antropomorfe in pietra arenaria - maschile e femminile. Ciò che rimane di antichi pali di testa che servivano come sostegni ai filari dei vigneti. 
La stele che rappresenta la donna è dolcemente in attesa...













Ingredienti:

fagioli a corallo
pomodori in pezzi o pelati
1/2 cipolla
sale
olio

Lavare e - nel caso - tagliare a metà i fagioli. Lessarli e scolarli ancora al dente. Intanto affettare la mezza cipolla, rosolarla in una padella col l'olio e aggiungere i fagioli. Scottare qualche minuto e amalgamare i pomodori al resto. Aggiungere un po' d'acqua, salare e continuare fino a cottura. Dolci, saporiti e leggeri. 


mercoledì 4 luglio 2012

L'Italia che conta

Non ho saputo resistere. Leggendo - come mi piace fare sempre ad ogni nuovo post - il blog di Luna, ho scoperto questa iniziativa molto bella alla quale voglio - in calcio d'angolo! - partecipare anch'io. 

L'Italia che conta. Che conta per noi. 

Mi sento di parlarne non solo perché mi piace l'idea del viaggio e della scoperta, ma anche perché ultimamente si parla spesso d'Italia con opinioni molto divergenti. Usciamo da pochi giorni dagli Europei, sconfitti in finale dalla Spagna. Cosa ci ha lasciato questo torneo calcistico? Uno scempio del diritto alla vita che l'Europa non ha esitato a calpestare e che l'Italia non ha saputo o voluto rifiutare. Contemporaneamente, proprio nel nostro Paese tutto decorato a tricolore, un altro diritto veniva calpestato con l'abolizione dell'articolo 18. Non voglio scendere nel dettaglio di questioni di cui, nei giorni precedenti, ho letto abbondantemente e discusso con tutta l'animosità con cui si discutono questioni che ci stanno a cuore. Ma voglio partire proprio da qui per parlare oggi di un'Italia diversa, per ricordare a me stessa che se le brutture devono essere combattute non è soltanto per una questione etica, ma anche per un diritto alla bellezza.

La bellezza salverà il mondo, sosteneva Dostoevskij.

Avrà avuto ragione?

Spesso mi sento delusa. Da me stessa, dall'incapacità di agire concretamente sul cambiamento, dall'indifferenza dei miei vicini, dalla sensazione crescente che l'errore non è ai vertici ma alle fondamenta. Abbiamo (hanno) festeggiato l'unità d'Italia senza riflettere sul significato della parola "unità". Non è una questione di patriottismo, ma una questione di quanto sia possibile oggi essere patriottici. Essere italiani. Essere un Paese che dice no, che sappia rovesciare un sistema che non ci rappresenta, invece di accettarlo e tirare avanti. Sono questioni sulle quali si potrebbe scrivere per ore, confrontarsi, discutere. Ultimamente mi chiedo anche se si possa, oggi, con tutto questo spazio a disposizione, parlare solo di cucina e fornelli.

La mia risposta è che no, non si può. E' nostro dovere - e diritto - non stancarci di dire quello che abbiamo da dire. Non stancarci di essere polemici senza perdere la nostra leggerezza, il nostro amore per le cose belle. Senza imbruttirci, che l'imbruttimento allontana e disorienta.

Per questo, oggi, voglio parlare della mia Italia, quella che accanto all'altra - l'Italia da cambiare - spero resti la stessa.

Lascio che le foto parlino da sole, aggiungendo soltanto qualche riga di commento personale.


I giardini di Ninfa - Sermoneta
Non credevo esistesse - a pochi chilometri da casa - un luogo così fuori dal tempo. Qui la bellezza regna sovrana. Ma anche la tolleranza, la convivenza, l'integrazione. Un giardino in cui differenti specie di piante provenienti da diverse parti del mondo, coabitano nel più perfetto equilibrio. Certo, per le piante è più semplice perché, citando un film, le piante non hanno memoria. Ma noi, che di memoria ne abbiamo molta e siamo in grado di ordinarla e custodirla, dovremmo ricordarci che esistono nel nostro Paese luoghi come questo. In cui la bellezza ha salvato almeno una parte di mondo.



La Majella - Abruzzo
Inaspettato. Aspro. Selvaggio. Questo luogo rappresenta per me una piccola vittoria personale, una conquista. Trovarsi tra due costoni di roccia, sprofondati in mezzo ai giganti e avere la sensazione di non essere respinti, ma accolti senza pregiudizio e con quella saggezza che solo l'immobilità di una roccia - un'immbolità combattiva e tenace - può offrire. Ci sarebbe molto da dire sulla Majella, su un viaggio durato tre giorni con lo zaino sulle spalle, su un paesaggio che verso la fine del percorso diventa quasi lunare. Ma tutto è già congelato in questa immagine. Perfetta e completa.



Riserva Naturale di Tor Caldara - Anzio (Roma)
Questa è casa. Ritrovata. Riscoperta. La raggiungo ogni volta che la casa mi chiama. A distanza, come la navicella di E.T. Il particolare di questa foto è simbolico. Rappresenta un ponte in una zona non accessibile al visitatore. Nel tempo la natura si è ripresa il suo spazio ma ha saputo farlo con eleganza. Mi trovavo lì perché è sempre importante capire da che parte del ponte dobbiamo essere. E con chi. Ma non si può raccontare cosa c'è oltre. Bisogna scavalcare il ponte e andare a vedere.

Nella mia Italia che conta il primo posto è per la natura. Perché non c'è spazio per nulla - per la lotta, l'amore, la bellezza - se non c'è comprensione di questo patrimonio che abbiamo soltanto ereditato. 

Ringrazio Luna e soprattutto il blog Viaggi e Baci che ha dato a tutti l'occasione d'intraprendere questo viaggio.